Tirò su il cartone che lo copriva controllando la
bottiglia tra le sue braccia. Conteneva un vino saporoso e leggermente aspro.
Un signor vino. La strinse forte lanciando un’occhiata furtiva attorno. Bisogna
stare attenti, c’è brutta gente in giro. La settimana prima due mascalzoni lo
avevano picchiato e derubato delle poche lire che aveva. Ah, già ora bisogna
dire euro, ma tanto o duemila lire, o un euro, Pecchione sempre un litro di
rosso ti dà. Su questo quel bastardo è chiaro, nella sua cantina quello buono
tanto costa e amen.
Diede un’altra poderosa sorsata, si grattò
ferocemente la testa e chiuse gli occhi. Avrebbe voluto sognare un’enorme
piscina piena del miglior vino. Tutto a sua disposizione. Sogghignò pensando
alla faccia di Pecchione se avesse potuto vedere la scena. Le bestemmie
sarebbero scese a grappolo, ma alla fine avrebbe bevuto anche lui, ne era
certo.
Sbadigliando l’aria umida entrò nei meandri della gola arsa dall’alcool,
sputò lontano sfiorando Lattuga che dormiva due scalini sotto e tossendo
riprese a dormire.
La mattina era ancora più fredda della notte. Il
sagrestano li svegliò con le solite maniere. Di lì a poco sarebbe stata
officiata la messa, non si poteva proprio dare quello spettacolo indecoroso a
chi, prima di andare a lavoro, passava per la Chiesa a cercare un aiuto per la
giornata o a chiedere perdono per una nottata di peccato e cattivi pensieri. E
che diamine! Francesco il sagrestano pensava che il parroco fosse troppo
accondiscendente con quei quattro ubriaconi. Mai avrebbe dovuto permettere di
farli rimanere dalla sera alla mattina a riempirsi di vino e bivaccare sui
gradini della casa di Dio. Fosse dipeso da lui… A nulla erano valsi i tentativi
di convincere don Ciro, aveva anche messo in giro voci strane sui quattro, a
fin di bene si capisce, ma senza risultati: “Meglio qui che sotto un ponte” gli
aveva risposto il prete. “Si, però sotto i ponti non passa la gente per bene”
avrebbe voluto ribattere, ma prima o poi…
Lattuga fu l’ultimo a sollevarsi, lo faceva apposta
per far arrabbiare quanto più possibile il sagrestano. Non lo sopportava,
proprio non lo sopportava. Gli ruttò praticamente in faccia provocandone le ire
furibonde e s’allontanò trascinandosi lontano. Aveva quasi cinquant’anni e
poche cose sarebbero state in grado di stupirlo. Durante una sbornia colossale
raccontò di aver viaggiato in posti lontani e di aver posseduto ricchezze
capaci di frastornare chiunque. Nessuno si pose il problema se fosse vero o
meno, per tutti rimaneva Lattuga e lì, questo, era più che sufficiente. Il
soprannome glielo avevano appioppato appena arrivato da quelle parti. Il
sagrestano (sempre lo stesso mastino) una sera lo sorprese a mangiare
dell’insalata in un cantuccio della chiesa e successe il pandemonio. Cosicché,
tra le risate sguaiate di quelli che sarebbero diventati i suoi compari di
sbornia, era stato costretto ad andar via infilandosi in tasca la rimanenza
della cena vegetariana. Da quel giorno per tutti divenne Lattuga. Il suo vero
nome era un mistero. Forse, e con molti dubbi, l’unico a saperne qualcosa in
più era proprio il parroco, ma figurarsi se quello parlava.
Nei giorni di festa e specialmente di particolare
freddo, Lattuga seguiva la messa rispondendo con naturalezza ai vari passaggi
del rito, il che faceva capire come non fosse proprio a digiuno di certe cose.
La sua esistenza andava avanti così, tra una bottiglia e l’altra, intento a
sopravvivere grazie ad una tenace ricerca tra i rifiuti ed a piccoli lavoretti
fatti qua e là. Mai l’avevano visto chiedere l’elemosina e mai ne avrebbe
accettata. Una volta una signora gli lasciò cadere vicino un euro: dopo un
secondo in cui rimase interdetto, Lattuga le corse incontro porgendole due
monete da cinquanta centesimi. Passava il tempo girovagando per i dintorni e
all’imbrunire si piazzava davanti alla chiesa aspettando il giorno tra il vino
e i suoi pensieri. Ormai da quelle parti lo conoscevano tutti, il suo tanfo era
inconfondibile così come l’evidente strafottenza. La barba incolta e la
carnagione scura gli davano un aspetto inquietante, anche se l’altezza, i
capelli sconvolti e l’impermeabile appiccicato addosso contribuivano a farne
una figura quasi mistica. Tuttavia di ascetico aveva poco, molto poco. Amava
sdraiarsi sui gradini della chiesa e guardare attraverso la bottiglia. Vedere
la gente passare, correre, affannarsi, nell’alone verdastro del vetro lo
metteva di buonumore. Spesso s’addormentava pensando che sarebbe bastato un
niente per frantumare ogni cosa insieme alla bottiglia. Ma, tutto sommato, il
mondo gli piaceva ed allora si teneva la bottiglia, il vino e la gente. L’unico
suo vero problema era il freddo. Quando il tempo volgeva al brutto si stringeva
nell’impermeabile ad imprecare contro il cielo. Poi, un giorno, decise che -
almeno quando la chiesa era aperta - rimanere fuori a gelarsi era da stupidi e
cominciò a cercare il modo ed il posto dove nascondersi a dispetto del
sacrestano.
La ricerca fu lunga e pericolosa considerata la
presenza del “mastino”, ma alla fine la costanza pagò. Accanto al
confessionale, dietro ad una tenda di velluto rosso cupo, esisteva una cavità
nella parete piuttosto ampia dove il parroco precedente avrebbe voluto metterci
qualche santo a devozione. Andato via il prete, quello spazio aperto rimase
così a far bella mostra di sé. Quando la chiesa fu ristrutturata, qualcuno -
benedetto sia, pensò Lattuga - per un fatto di estetica, lo coprì con della
plastica rigida simile al legno. Da allora di quella specie di sgabuzzino si
perse ogni traccia fino a quando Lattuga, casualmente, vi si appoggiò sopra.
Ci mise un attimo a rendersi conto d’aver trovato
qualcosa di prezioso. Tambureggiò con la mano più volte sul finto legno per
esser certo di non sbagliare, continuando a batterci sopra s’abbassò sino ad
inginocchiarsi, poi su, più su, fin sopra la testa. Si, appena dietro quel poco
di plastica c’era un vuoto e pareva abbastanza grande da essere un nascondiglio
ideale.
Da quel momento intere serate e decine di Messe
furono dedicate a scostare, lentamente, con attenzione, centimetro dopo
centimetro, la copertura tanto da poter passare. La prima volta che mise piede
in quello spazio angusto e buio, gli parve di aver scalato la più alta delle
montagne. Entrarvi era facile, la posizione accanto al confessionale e il
pesante tendaggio permetteva di muoversi con un certo agio senza esser visti e
il finto legno tornava a posto quasi da solo. Era perfetto. Se a questo si
aggiunge che l’aveva fatta anche al mastino, allora la soddisfazione era
doppia.
Cominciarono così i ritiri di Lattuga.
Di solito, con il freddo pungente, riparava lì per
la messa vespertina e ne usciva poco prima che il sagrestano facesse l’ultimo
giro a caccia di clandestini. Dovendo evitare le luci artificiali, con un
chiodo e tanta pazienza, aveva fatto alcuni piccoli fori nel muro che dava
verso l’esterno, tra le foglie d’edera proprio sotto un neon, questo garantiva
una certa ventilazione ed uno spicchio di chiarore. Un paio di bottiglie e tre
o quattro vecchi cuscini da cucina completavano l’arredamento permettendogli di
stare seduto con una certa comodità. C’era un solo piccolo, fastidioso,
inconveniente: era costretto a sopportare il vociare lamentoso di chi confida i
propri problemi di coscienza.
All’inizio fu naturale ascoltare ogni parola,
seguire i discorsi, spesso privi di senso, di chi rivelava desideri indicibili,
colpe gravi e scempiaggini varie oltre ad una marea di corna, ma, così come
capita a chi compra un orologio a pendolo, col passare dei giorni quasi nemmeno
s’accorgeva se il rifugio dei peccatori fosse occupato. In ogni caso aveva
imparato a distinguere le voci di quelli che venivano a confessarsi. Quella
stridula desiderava la sorella del marito e puntualmente il giovedì veniva a
lavare il suo osceno desiderio nel lavacro del pentimento, pronta ad un’altra
settimana di pensieri libidinosi; il trombone continuava a truffare e a dirsi
costretto a farlo mentendo pure a Dio; il tono squillante da bambina descriveva
invece inverosimili situazioni degne di un premio per la miglior sceneggiatura.
Di tutte queste voci però ignorava il viso. A volte tra le chiacchiere della
gente, gli pareva di individuare un peccato, ma abbandonava subito ogni
curiosità per il timore di mettere a rischio il suo riparo.
Nel frattempo aveva imparato a vivere in quell’antro
osservando alcune piccole, preziose cautele. Per primo occorreva guardarsi dal
raffreddore: la tosse e peggio ancora gli starnuti rappresentavano un vero
pericolo, e così appena iniziava a calare la temperatura divenne solito
aggiungere all’impermeabile una vistosa sciarpa color arancio ed alla dieta un
paio di aspirine prese chissà dove. Poi si accorse della necessità di
attrezzare la sua tana con qualche cosa in cui conservare un po’ di cibo.
Riuscì a trovare nei rifiuti un vecchio contenitore termico, uno di quelli che
si portano in spiaggia o nei pic nic estivi, e lo trasformò nel suo frigorifero
privato. Il trasporto fu complicato, ci vollero quasi cinque giorni per
smontarlo, portare tutti i pezzi nel rifugio e rimontarlo, ma alla fine il
risultato poteva dirsi soddisfacente. Per ultimo ebbe l’attenzione di lasciare
sempre una bottiglia con il collo molto largo a disposizione. Sapete certe
volte scappa…
Con il tempo, Lattuga prese in seria considerazione
la possibilità di passare la notte nel suo monolocale ecclesiastico. La
difficoltà nasceva dal non poter distendere le gambe, ma meglio qualche crampo
in più del freddo polare e se poi era proprio necessario poteva sempre alzarsi
per ricordare al sangue di circolare nelle parti basse del corpo. Avrebbe
potuto anche uscire e dormire sulle panche, ma chi gli assicurava che si
sarebbe svegliato prima dell’arrivo del pestifero sagrestano?
Il dubbio gli rimase sino alla notte di
Sant’Agnese, quando, un po’ per le gambe e molto per il vino, si stese a russare
su una panca con Gesù Cristo di fronte e Sant’Ignazio di lato. Dormì come non
ricordava da anni sino a quando la luce dell’alba attraversando le grandi
finestre a mosaico della chiesa lo svegliò in tempo utile a sparire. Ascoltando
le solite imprecazioni mattutine del mastino intento a cacciare via i compari
accampati sulle scale trattenne a stento una risata. Da quella notte la panca
contrassegnata col nome della famiglia Persietti, divenne il suo letto
preferito. Stendere le gambe, stiracchiarsi, togliersi le scarpe al riparo dal
vento gelido fu come rinascere e spesso ringraziò il Padrone di casa per quel
regalo inaspettato.
Quella mattina si svegliò di pessimo umore. La
bocca era impastata come al solito, lo stomaco brontolava come ogni giorno, nel
fiasco ai suoi piedi c’era ancora un goccio… eppure era di pessimo umore.
Passandosi le mani tra i capelli ispidi sentì qualcuno bestemmiare per strada,
decise di alzarsi. A fatica si diresse verso il contenitore dell’acqua
benedetta e sciacquandosi la faccia cercò di cacciare il senso di fastidio. Un
calpestio lo fece sobbalzare. Era troppo presto per il sagrestano. Dei ladri? O
il parroco in crisi d’insonnia? “La giornata non è delle migliori” pensò
rintanandosi nel suo buco dietro la tenda. D’improvviso gli venne in mente il
fiasco vicino alla panca. Spostò appena la copertura della parete ed intravide
Don Ciro intento ad aprire il portone della chiesa. Si ritrasse immediatamente,
il respiro era profondo ed il battito del cuore accelerato. Un errore e addio
notti al coperto. Tese l’orecchio pronto a cogliere il minimo fruscio e
preparato alla scoperta del fiasco. Sarebbe toccato poi al sagrestano
setacciare palmo palmo la chiesa ed a quel punto…
Il prete tornò sui suoi passi seguito da qualcuno.
Per qualche secondo non si udirono rumori, poi uno, lieve, indicò che si erano
seduti vicino al confessionale. “Una chiesa tanto grande, proprio qui dovevano
fermarsi” pensò sconsolato Lattuga volgendo uno sguardo implorante verso
l’alto.
Il parroco disse qualcosa, cercando di ascoltare
meglio Lattuga si spostò con molta cautela, attento soprattutto alla parola
“fiasco”. Cominciò invece a parlare un’altra persona. Era una donna, la voce
non gli ricordava peccati particolari, ma doveva essere in uno stato di profonda
prostrazione perché dopo un po’ le parole furono alternate ai singhiozzi. In un
rincorrersi di angoscia raccontò una storia di violenza e brutalità nascosta,
di una famiglia perfetta marcia come una mela da buttare, della sofferenza di
madre per una figlia di otto anni troppo chiusa verso gli altri e della
scoperta, terribile, del motivo. Maledicendo il marito e soprattutto se stessa
per aver capito tardi, ricordò al prete di essere in confessione implorando Dio
di fare giustizia perché gli uomini non erano in grado di farlo. Seguì un
silenzio rotto dal pianto della donna.
A fatica il parroco trovò il modo di chiederle se
fosse sicura di quanto aveva detto, la domanda fu fatta con dolcezza e con la
segreta speranza di trovare uno spiraglio che offrisse la possibilità del
dubbio.
La risposta spazzò via ogni illusione lasciando un
gelido manto di strazio nella casa di Dio.
Lattuga immaginò Don Ciro portarsi le mani sul
volto mentre raccomandava la donna di stare vicino alla figlia, di allontanare
subito quella bestia che il Padre Eterno aveva voluto uomo; era certo che le
facesse una carezza quando, con decisa mitezza, suggeriva di rivolgersi alla
polizia assicurandole tutta la sua assistenza.
Il “no”, immediato e rabbioso fece tremare anche i
santi ed echeggiò nella chiesa per un tempo interminabile. “No – ripeté con
forza la donna – cosa sarebbe di mia figlia? Marcata a vita per quale colpa?
Additata come la disgraziata figlia di un padre schifoso, segnata per sempre
non solo nel corpo e nell’anima, ma anche dalla gente. E dopo il pietismo cosa
rimane? No. Nessuno deve sapere. Starò ogni momento accanto a lei, eviterò
anche che la sfiori soltanto, lo costringerò ad andar via, ma il dolore deve
rimanere il mio. Lei mi deve aiutare ad avere la forza di fare tutto questo, ho
bisogno che qualcuno sappia per ripetermelo se avrò momenti di esitazione. La
prego, la prego…”
Lasciando la pena a riempire ogni angolo la donna
scomparve nel giorno che nasceva. Una lama di luce attraversò la finestra posta
di fianco all’altare e come un gessetto colorato tracciò una linea nell’aria.
Da un lato rimase un prete seduto a fissare un crocifisso, dall’altro un
barbone ubriacone che sentiva il vino tornare alla gola. Nessuno dei due si
accorse del raggio di sole posato su un fiasco lasciato a terra, tra i banchi,
vicino al confessionale.
Ma la vita prosegue, e Lattuga che per un paio di
notti aveva preferito dormire fuori malgrado il freddo, tornò nel suo rifugio,
al vino di Pecchione e alla solita indifferenza. Era un periodo buono: la gente
aveva deciso di lasciare ogni ben di Dio tra le immondizie.
In un bidone
dei rifiuti poco lontano dalla chiesa aveva trovato un barattolo di vetro a
chiusura ermetica, adatto al suo “frigorifero” e un paio di forbici. Non erano
un granché, ma utilissime per tagliare pane, formaggio ed i pezzi di carne
lessa e di salame che gli dava il padrone del ristorante Azzurro per portar via
la spazzatura.
In un altro contenitore scovò un cappello di
flanella ed un maglione rosso di lana morbida, e nei pressi della scuola ebbe
la fortuna di rinvenire un braccialetto d’oro che vendette alla signora Gina
per qualche decina di euro.
Insomma non poteva lamentarsi di quell’inizio di
febbraio, almeno fino a quando sentì la voce.
Stava sistemando la bottiglia di vino in una tasca
dell’impermeabile pronto ad entrare in chiesa dalla porta della sagrestia
quando l’avvertì, distinta e chiara alle sue spalle. Alzò la testa sperando di
essersi sbagliato, ma la donna tornò a parlare. Era lei, quella del pianto
straziante. Avrebbe fatto di tutto per riuscire a rimanere impassibile come per
tanti altri peccati, avrebbe voluto fermare il collo che lentamente girava,
costringere i suoi occhi ad abbassarsi per impedire di vedere, togliere la voce
a quel viso racchiuso in un mare di capelli neri e attraversato da una lucida
malinconia. Accanto, mano nella mano, una bambina esile e spaurita fissava il
vuoto. Il loro atteggiamento strideva con il resto che parlava di un’esistenza
senza troppi problemi. Lattuga ebbe la conferma che il destino non guarda al
portafogli. Rimase a fissarle, poi come un automa iniziò a seguirle. Doveva
sapere, non importa cosa, doveva sapere.
Il palazzo era quello del dottor… come si chiama…
ah si, Chiari, una persona squisita. Le vide entrare nel portone, salutare il
portiere e perdersi nell’androne.
Si sorprese a chiedere al custode chi fossero. La
risposta lo paralizzò: “La signora Chiari e sua figlia”.
Poteva mai essere? Forse aveva sbagliato, in fin
dei conti quando aveva sentito la storia raccontata dalla donna a don Ciro era
l’alba, appena sveglio, spaventato per la storia del fiasco, si, certamente la
situazione e il residuo della sbornia lo stavano ingannando. Il dottor Chiari è
un brav’uomo, tutti conoscono la sua disponibilità. Per un certo periodo aveva
fatto della sagrestia una specie di ambulatorio visitando i più indigenti ed
anche lui una volta era ricorso al suo aiuto. Da tanto non lo si vedeva in
chiesa, ma questo non rappresentava certo una colpa o un indizio. No, stava commettendo
di sicuro un errore. Camminò a lungo, ripensando a quella mattina. La bottiglia
ancora in tasca con il tappo al suo posto. Cercò di trovare qualche sicurezza
nel ricordo dei singhiozzi e di un pianto, cercò di rammentare ogni parola del
parroco… Non un nome, una piccola maledetta indicazione. Nulla. I preti sanno
mantenere i segreti degli uomini e della loro coscienza. Verso le cinque decise
di aver bisogno della bottiglia e mentre il cielo cominciava ad incupirsi
chiuse gli occhi fuggendo dal mondo e dai suoi pensieri.
Come tutti i giorni il dottor Fabrizio Chiari uscì
dal portone alle otto in punto. Camminò fino al garage dietro casa e senza
fretta aspettò che gli prendessero l’auto. Partì dopo aver scambiato qualche
chiacchiera ed un sorriso con l’uomo dell’autorimessa. Lattuga tornò davanti al
palazzo appena in tempo per vedere la signora Chiari andare con la figlia verso
scuola.
Perché l’accompagnava la madre se solo pochi minuti
prima era sceso il padre e per giunta la scuola è sulla strada? Forse la
bambina vuole così. O probabilmente la signora ha qualcosa da fare. Oppure
possono esserci altri mille motivi. “E tra quelli…” pensò Lattuga. Bevve un
sorso, uno solo. Sperò in un’attesa lunga. Almeno il perché sarebbe stato
evidente. Passarono invece una ventina di minuti e la signora tornò. Questo
accadde anche il giorno dopo e il successivo e per una settimana e quella
appresso. Non c’era stato un pomeriggio, un sabato o una domenica che Lattuga
avesse visto o potuto immaginare la bambina sola con il padre. Mai, nemmeno per
un momento.
Era tardi, la chiesa pareva un teatro abbandonato,
i pochi rumori della strada giungevano ovattati nella penombra che allungava
sagome scure. La seconda bottiglia si avviava ad essere svuotata mentre la
mente vagava per i misteriosi percorsi dell’anima. Con i piedi poggiati sulla
panca davanti e l’impermeabile buttato di lato, Lattuga fissava l’altare.
Sbadigliò sguaiatamente passandosi la mano tra la barba. Chissà se Gesù si era
mai ubriacato, magari la notte in cui lo tradirono. A volte il vino fa vedere
meglio le cose, le spoglia delle bugie del vivere. Forse gli sarebbe servito,
avrebbe capito l’idiozia di chi lo portava in croce e di tutto quello che
sarebbe successo poi. Tutto, compreso un ubriacone che duemila anni dopo non
riesce a dimenticare una storia ascoltata per caso. La bottiglia vuota volò
lontano frantumandosi in mille schegge sotto la statua di un santo con un libro
in mano e dal nome sconosciuto. Che senso aveva la ricerca fatta, la quasi
sicurezza di conoscere i volti di quella lurida faccenda se non poteva far
nulla? Bevve ancora guardando il vetro sparso. Ora gli toccava pure pulire i
segni del suo impotente sconforto. Guardò il crocifisso: “Della nostra
impotenza” sussurrò.
Il sonno tardava ad arrivare sebbene anche il terzo
litro di rosso avesse riempito lo stomaco, gli venne voglia di pisciare, e si
diresse verso il bagno della sagrestia. Per andarci occorre attraversare un
piccolo corridoio con finestre dalle lastre bianco latte. Alle pareti una serie
di foto, in una si vedeva il parroco sorridere seduto nello studio, intorno
parecchie persone, tra loro il dottor Chiari e figlia. La bambina non rideva.
Uno spasmo dello stomaco spinse il vino verso la bocca. Arrivò appena in tempo
in bagno per vomitarne ogni goccia. La testa gli scoppiava. Tornò a guardare la
foto. Il tempo parve dissolversi riportandolo indietro negli anni, ricordò cose
che sperava dimenticate. Strinse forte i pugni mentre dalla vetrata alle spalle
i fari di una macchina facevano scivolare la sua ombra sul muro.
Non si stese sulla solita panca. Nel rifugio chiuse
le gambe tra le braccia poggiando il mento sulle ginocchia. La notte fu lunga
senza vino e senza sonno.
La notizia fece il giro del rione in un niente. Era
solo mezzogiorno e Pecchione raccontava per la centesima volta ciò che aveva
visto, aggiungendo sempre un particolare. Alla fine della giornata non sarebbe
stata più la stessa storia. Nei negozi non si parlava d’altro. Tra un chilo di
pane o di frutta ed una scrollata di testa l’argomento era esclusivamente
quello.
L’avevano trovato verso le sei, Pecchione
attribuiva la scoperta a se stesso, ma in realtà fu uno degli operai del forno
all’angolo mente tornava a casa a scorgerlo, riverso accanto ad un cumulo di
spazzatura. La faccia rivolta verso il marciapiede e le mani sotto il petto. Da
lontano il ragazzo aveva pensato ad un drogato e s’era avvicinato con l’intento
di smuoverlo. Quando vide la pozza di sangue circondargli il torace si rese
conto che quella mattina non sarebbe andato a letto.
La polizia recintò i dintorni con un nastro bianco
e rosso, mentre il risveglio della città paralizzava il traffico e i passanti
si fermavano incuriositi a cercare di capire cosa fosse successo.
La signora Chiari scese da una macchina grigia,
accompagnata da don Ciro. La calca si aprì come il mar rosso al passaggio di
Mosè. Qualcuno le mise una mano sulla spalla mentre la compassione riempì gli
occhi di tutti. Lei rimase ferma, immobile a guardare il corpo di quello che
era stato il marito, poggiato su una chiazza di colore rosso aggrumato, fisso
in una posa innaturale con attorno una paradossale striscia di gesso bianco.
Non fece un gesto fino a quando, poggiando il braccio su quello del prete, si
voltò tornando alla macchina.
I funerali si svolsero dopo alcuni giorni. Una
folla enorme partecipò commossa. Il parroco fece un’omelia toccante ricordando
i mali della nostra società e implorando Dio di perdonare quanti si macchiano
di colpe troppo grandi per essere capite. La gente applaudì emozionata quando
il feretro fu portato fuori dalla chiesa. La figlia non c’era. La madre,
dissero, l’aveva lasciata da una zia, ancora non sapeva quello che era
successo. Erano stati colpi secchi, precisi di una lama strana, a due punte che
avevano tolto la vita ad una delle persone più perbene della zona. Forse una
rapina, lui doveva aver reagito, era riuscito a non farsi derubare, ma aveva
pagato a caro prezzo il suo gesto. E’ assurdo, pensò il sagrestano, incolpando
la troppa tolleranza dei nostri tempi. Una brava persona che deve cadere sotto
i colpi di un balordo. E’ assurdo.
La cerimonia era finita da qualche ora, e don Ciro
ritornava dopo aver accompagnato la signora Chiari a casa. Sentiva la fatica in
ogni muscolo e gli dolevano i piedi quando prese a salire le scale della
chiesa. Su un lato, sdraiati più che seduti, i soliti barboni con la loro
bottiglia di vino. In cima, poggiato con le spalle su una delle colonne di
marmo bianco che troneggia all’ingresso, Lattuga, stava cenando con un pezzo di
formaggio duro, usava le forbici a mo’ di coltello. Il sole tentando di
resistere alla sera lanciava gli ultimi sprazzi di luce. Uno di essi colpì le
lame e il piccolo bagliore riflesse negli occhiali del prete che si girò
incontrando gli occhi di Lattuga.
Fu un attimo...
Come un lampo improvviso don Ciro ricordò il fiasco
di vino trovato in chiesa, il pianto di una madre, la tristezza di una bambina
e il sagrestano che non si lamentava più di essere stato ruttato in faccia.
Fu un attimo...
I preti sanno mantenere i segreti degli uomini e
della loro coscienza.
Grande!
RispondiEliminaV.A.